Ranocchino -parte terza-

 Intanto in casa di Ranocchino pareva tutti i giorni carnovale. Spendi e spandi; mezzo vicinato banchettava lì e i danari andavano via a fiumi. Finalmente non ci fu più il becco d’un quattrino. “Babbo, vendiamo la corona reale.” “La corona reale non si tocca!” “Si dee crepar di fame? Vendiamola!” “La corona reale non si tocca.” Quel povero diavolo tornò nella grotta in cerca della vecchia, e si mise a piangere. “Che cosa è stato?” “Mammina mia, i quattrini son finiti e quei figliuoli vorrebbero vendere la corona reale; ma io non l’ho permesso.” “Fruga in quel canto. C’è del pane e del formaggio; mangerete per questa sera. Domani a mezzogiorno, aspettami sotto le finestre del palazzo reale: sarà la tua fortuna.”

Ranocchino -parte seconda-

 Il povero padre rimase spaventato. “Fatti coraggio!” gli disse la vecchia “Fruga in quel canto; c’è del pane e del formaggio: mangerete per questa sera. Domani a mezzogiorno, aspettami sotto le finestre del palazzo reale: sarà la tua fortuna.” Quando i figliuoli lo videro tornare senza il fratellino, si misero a strillare. “Zitti! Ecco del pane e del formaggio.” “Ma Ranocchino dov’è?” “È morto!” Disse così per non esser seccato. E il giorno appresso, prima dell’ora fissata, andava ad appostarsi sotto le finestre del palazzo reale. Aspetta, aspetta, la vecchia non compariva.

Ranocchino -parte prima-

 Questa è la bella storia di Ranocchino porgi il ditino, e sentirete qui appresso perché si dica così. Si racconta dunque che c’era una volta un povero diavolo, il quale aveva sette figliuoli, che se lo rodevano vivo. Il maggiore contava dieci anni, e l’ultimo appena due. Una sera il babbo se li fece venire tutti dinanzi. “Figliuoli” disse “son due giorni che non gustiamo neppure un gocciolo d’acqua, ed io, dalla disperazione, non so più dove dar di capo. Sapete che ho pensato? Domani mi farò prestar l’asino dal nostro vicino, gli porrò le ceste e vi porterò attorno per vendervi. Se avete un pò di fortuna, si vedrà.

Le Fate -parte seconda-

 Brontolò, brontolò; ma brontolando prese la strada portando con sé la più bella fiasca d’argento che fosse in casa. La superbia, capite, e l’infingardaggine!… Appena arrivata alla fonte, eccoti apparire una gran signora vestita magnificamente, che le chiede un sorso d’acqua. Era la medesima Fata apparsa poco prima a quell’altra sorella; ma aveva preso l’aspetto e il vestiario di una principessa, per vedere fino a quale punto giungeva la malcreanza di quella pettegola. “O sta’ a vedere…”, rispose la superba, “che son venuta qui per dar da bere a voi!… Sicuro!… per abbeverare vostra Signora, non per altro!…

Le Fate -parte prima-

 C’era una volta una vedova che aveva due figliuole. La maggiore somigliava tutta alla mamma, di lineamenti e di carattere, e chi vedeva lei, vedeva sua madre, tale e quale. Tutte e due erano tanto antipatiche e così gonfie di superbia, che nessuno le voleva avvicinare. Viverci insieme poi, era impossibile addirittura. La più giovane invece, per la dolcezza dei modi e per la bontà del cuore, era tutta il ritratto del suo babbo… e tanto bella poi, tanto bella, che non si sarebbe trovata l’eguale. E naturalmente, poiché ogni simile ama il suo simile, quella madre andava pazza per la figliuola maggiore; e sentiva per quell’altra un’avversione, una ripugnanza spaventevole.

L’Orsa -parte quarta-

 La mamma, anche se le sembrò uno sproposito che l’orsa dovesse fare da cuoco e da cameriera e se sospettò che il figlio stesse farneticando, tuttavia, per accontentarlo, la fece portare. E lei, arrivata al letto del principe, alzò la zampa e toccò il polso del malato e fece spaventare la regina, convinta che da un momento all’altro gli avrebbe strappato il naso. Ma, quando il principe disse all’orsa: “Chiappino mio, vuoi cucinare per me e darmi da mangiare e prenderti cura di me?”, lei abbassò la testa indicando che gli stava bene. Per questo la mamma fece portare un poco di galline e accendere il fuoco in un camino nella stessa camera e mettere a bollire l’acqua, e l’orsa, presa una gallina, la scottò, la spennò abilmente e, dopo averla fatta a pezzi, parte ne ficcò in uno spiedo e parte ne fece un bel gratinato e il principe, che non riusciva a mandar giù lo zucchero, finì con leccarsi anche le dita e, quando ebbe finito di ingoiare, gli diede da bere con tanta grazia che la regina volle baciarla in fronte.

L’Orsa -parte terza-

 Allora, il principe, una volta che tutti erano usciti da casa ed era rimasto solo, si affacciò per vedere l’orsa e vide che Preziosa, per acconciarsi i capelli, si era tolta il bastoncino di bocca e si pettinava le sue trecce d’oro. Per questo, vedendo questa bellezza incredibile stava svenendo per lo stupore e, gettandosi giù per le scale, corse in giardino. Ma Preziosa, accortasi dell’agguato, s’infilò il bastoncino in bocca e tornò com’era. Il Principe, sceso giù e non trovando quello che aveva visto da sopra, restò così stupito da quest’inganno che preso da una grande malinconia in quattro giorni cadde malato dicendo continuamente: “Ora, orsa mia”.

L’Orsa -parte seconda-

 Ora, quando il paese fu pieno di femmine, il re le fece mettere in fila e cominciò a camminare, come fa il Gran Turco quando entra nel Serraglio per scegliere la migliore pietra da mola per affilare il suo coltello damaschino; e, andando e venendo su e giù, come una scimmia che non sta mai ferma, e covando e squadrando questa e quella, una gli sembrava storta di fronte, una di naso lungo, chi di bocca larga, chi di labbra grosse, questa troppo alta, quella troppo bassa e malfatta, chi troppo gonfia, chi eccessivamente gracilina; la spagnola non gli piaceva per il suo colorito gialliccio, la napoletana non gli andava a genio per i tacchi con cui cammina, la tedesca gli sembrava fredda e gelata, la francese col cervellino troppo leggero, la veneziana una conocchia di lino con i capelli sbiaditi.

L’Orsa -parte prima-

 Si racconta che c’era una volta il re di Roccaspra, che aveva per moglie la mamma della bellezza, che, nel meglio degli anni, cadde dal cavallo della salute e si ruppe la vita. Ma, prima che si spegnesse la candela del vivere all’asta degli anni, chiamò il marito e gli disse: “So che mi hai sempre amata con tutte le tue ciliegine; per questo mostrami al fondiglio dei miei anni la schiuma del tuo amore, promettimi di non sposarti mai se non trovi un’altra donna bella come sono stata bella io, altrimenti ti lascio una maledizione a tette spremute e ti odierò fin dentro l’altro mondo”.

Il falso uccello e lo sposo stregone -parte seconda-

 E sotto le sembianze di un mendicante, si recò nella casa del pover’uomo a domandare l’elemosina. La seconda figlia gli portò un pezzo di pane, e anche di questa s’impadronì con un solo tocco e poi se la portò via. Non andò meglio neppure alla sorella, si lasciò prendere dalla curiosità, aprì la stanza insanguinata, guardò dentro e al ritorno dello stregone dovette pagare con la vita. Egli andò a prendere la terza che era prudente e scaltra. Quando l’uomo le diede la chiave e partì, per prima cosa mise l’uovo bene al sicuro, poi esaminò la casa, alla fine andò nella stanza proibita. Dio mio, cosa vide! Le sue care sorelle giacevano nella vasca, pietosamente uccise e fatte a pezzi. Ma lei cercò e raccolse le parti del corpo sparse le riunì, testa, corpo, braccia, gambe.