L’Orsa -parte terza-

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Allora, il principe, una volta che tutti erano usciti da casa ed era rimasto solo, si affacciò per vedere l’orsa e vide che Preziosa, per acconciarsi i capelli, si era tolta il bastoncino di bocca e si pettinava le sue trecce d’oro. Per questo, vedendo questa bellezza incredibile stava svenendo per lo stupore e, gettandosi giù per le scale, corse in giardino. Ma Preziosa, accortasi dell’agguato, s’infilò il bastoncino in bocca e tornò com’era. Il Principe, sceso giù e non trovando quello che aveva visto da sopra, restò così stupito da quest’inganno che preso da una grande malinconia in quattro giorni cadde malato dicendo continuamente: “Ora, orsa mia”. La mamma, sentendo questo lamento, pensò che l’orsa gli avesse fatto qualche malazione e diede ordine che fosse ammazzata. Ma i servi, che ne erano invaghiti per la sua dimestichezza, perché riusciva a farsi amare anche dalle pietre della strada, impietositisi, invece di farne un macello la portarono nel bosco e riferirono alla regina che l’avevano fatta fuori.

Cose da non credere
Quando il principe seppe questo fece cose da non credere e, alzato dal letto, voleva fare a pezzetti i servi; ma quando ebbe sentito da loro come era andata la faccenda si lanciò sul cavallo e tanto cercò e girò che, trovata l’orsa, la portò di nuovo a casa e spintala in una stanza, le disse: “O bel boccone di re, che stai rintanato in questa pelle! O candela d’amore, che stai chiusa in questa lanterna pelosa! Perché farmi questi cucù-setteté, per vedermi consumare pelo dopo pelo? Io muoio affamato, consumato e stremato per questa bellezza, e tu ne vedi le prove evidenti, perché io sono ridotto a un terzo come il vino bollito, non ho altro che l’osso e la pelle, la febbre si è cucita come il filo doppio su queste vene.

Togli le fronde
Perciò alza la tela di questo cuoio puzzolente e fammi vedere l’apparato delle tue bellezze, togli togli le fronde da questa cesta e fammi guardare questi bei frutti; alza questa cortina e fai passare gli occhi a vedere la pompa delle meraviglie! Chi ha messo in un carcere di peli un’opera così liscia? Chi ha chiuso in uno scrigno di cuoio un tesoro così bello? Fammi vedere questo mostro di grazia e prenditi in pagamento tutti i miei desideri, bene mio, perché soltanto il grasso di quest’orsa può essere rimedio per i miei nervi rattrappiti!”

Tornò a gettarsi a letto
Ma dopo aver detto e ridetto, visto che sprecava invano le sue parole, tornò a gettarsi a letto e gli venne un così terribile accidente che i medici pronosticarono un cattivo esito di questa faccenda. La mamma, che non aveva altro bene al mondo, seduta accanto al letto gli disse: “Figlio mio, da dove arriva tanta rabbia? Che malinconia ti ha afferrato? Tu sei giovane, sei amato, sei grande, sei ricco: cosa ti manca, figlio mio? Parla: il povero che si vergogna resta a tasche vuote.

A me batte il cuore
Se vuoi moglie, tu sceglila e io do la caparra, tu prendi e io pago. Non vedi che il tuo malanno è malanno mio? A te batte il polso, a me batte il cuore; tu hai la febbre nel sangue, io l’accidente nella testa, non avendo altro sostegno della mia vecchiaia se non te. Per questo stammi allegro per rallegrare questo cuore e non vedere rovinato questo regno, crollata questa casa e rasata questa mamma”. Il principe, a queste parole, disse: “Niente mi può consolare se non la vista dell’orsa. Per questo, se volete vedermi sano, fatela stare in questa camera e non voglio che nessuno altro si prenda cura di me e mi faccia il letto e cucini per me se non lei, perché senz’altro, con questo piacere, tornerò sano in quattro pizzichi”.

Fiaba di Giambattista Basile

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