Giochi e bambini, cosa è peggiorato?

di Valentina Cervelli Commenta

Se pensiamo ai giochi e il rapporto che i bambini hanno con quest’ultimi, non possiamo notare che rispetto al passato la relazione sia decisamente peggiorata.

I giochi dei bambini sono cambiati

E non si tratta di un lamento fine a se stesso. Ultimamente anche Paolo Crepet si è occupato di questo tema. O meglio ha sottolineato come i bambini ormai non giochino davvero più. Dove per giochi si intende quelli che facevamo in passato noi che ora siamo adulti. “Color color”, “123 stella” e il semplice “nascondino” tanto per citarne alcuni.

Tutti coloro che sono nati fino agli anni ’80-primi ’90 possono contare su ricordi specifici in tal senso. Per loro i giochi erano all’aperto, insieme ai compagni di classe e amici del palazzo. Bastava uno spiazzo libero per dar via a mondi incredibili. Erano quelli giochi che stimolavano la fantasia, che rendevano possibile la nascita di un’empatia sana tra i bambini.

Ora i bambini escono di meno. I genitori, in modo conscio o inconscio, preferiscono piazzarli davanti a uno schermo. E per quanto alcuni, memori della loro infanzia, tentano di spingere verso una socializzazione attraverso attività sportive, altri non si pongono lo stesso problema.

Non c’è la passeggiata al parco sulle altalene, non vi sono le partite a pallone o i giochi con le bambole in comune sullo spiazzo davanti casa.

Il problema e che la mancanza di giochi di questo genere è semplicemente la conseguenza di un processo di crescita accelerata alla quale vengono sottoposti i bambini. Qualcosa riscontrabile anche nel modo in cui li vestiamo, rendendoli spesso d’aspetto più grandi della loro età.

La tecnologia deve essere limitata

Il cambiamento tecnologico doveva accompagnarci nell’educazione e nello sviluppo dei nostri bambini. Purtroppo è diventato lo strumento che ci consente di pensare meno a loro. Questo non giocare dei bambini è come se li sconnettesse dalla realtà.

Il gioco, a livello pedagogico, è da sempre considerato fondamentale per lo sviluppo delle relazioni sociali. E anche per le capacità del bambino di affrontare poi la vita da adulto. Limitando, anche involontariamente, lo scambio c’è il rischio di bloccare questi bambini.

E questo porterà a dei giovani privi di empatia, potenzialmente in grado di infilarsi in guai dalle conseguenze devastanti. Soprattutto se questo approccio di connessione continua avviene anche in età adolescenziale. Un momento dello sviluppo della persona di per sé già problematico a causa degli ormoni.

Il problema è che continuando su questa linea avremo sicuramente dei ragazzi preparatissimi a livello tecnologico, ma totalmente incapaci di interazioni con il mondo reale. E cambiare questo stato di cose non è affatto semplice.

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