Dunque la povera Biancabella, quella vera, con le mani monche e cieca da entrambi gli occhi, da giorni vagava sola e disperata nella lontana foresta, chiamando sempre e invocando la sorella Samaritana che le venisse in aiuto; ma non c’era nessuno che potesse risponderle se non la risonante eco che per tutta l’aria si udiva. Mentre l’infelice donna se ne stava lontano da casa sua, vedendosi priva di ogni aiuto umano, ecco entrare nel bosco un uomo molto attempato, benigno di aspetto e molto compassionevole, il quale, uditi quei pietosi lamenti, piano piano si avvicinò, e trovò la giovane cieca e monca delle mani che si disperava per la cattiva sorte. Il buon vecchio, la vide e non se la sentì di lasciarla lì in quelle condizioni, e, vinto da paterna compassione, se la portò a casa e la raccomandò a sua moglie, imponendole rigorosamente che si prendesse cura di lei. E inoltre si raccomandò alle sue tre figliuole, che erano tre stelle, affinché le tenessero buona compagnia, facendole carezze e non facendole mancare nulla.
racconti per ragazzi
Biancabella -parte seconda-
Ben presto si diffuse per tutto il mondo la gloriosa fama dell’immortale bellezza di Biancabella; e molti re, principi e marchesi venivano da ogni parte, con la speranza di conquistare il suo amore e la sua mano. Ma nessuno di loro fu giudicato alla sua altezza, poiché tutti difettavano in qualcosa. Finalmente un giorno si presentò Ferrandino, re di Napoli, il cui valore e gloria erano noti a tutti; e rivolgendosi al marchese, gli chiese la figlia in moglie. Il marchese, vedendolo bello e valoroso, oltre che molto potente e ricco, concesse le nozze; e chiamata la figliuola, la presentò al futuro marito, il quale la prese per mano e la baciò. Si era appena sposata, che Biancabella si ricordò delle parole che Samaritana sua sorella amorevolmente le aveva detto; allora si allontanò dallo sposo, e fingendo di voler fare certi suoi affari, se ne andò in camera, e, chiusasi dentro, se ne sgattaiolò fuori in giardino senza farsi vedere, e a bassa voce cominciò a chiamare Samaritana, ma quella non venne, allora Biancabella si meravigliò molto; e non trovandola da nessuna parte del giardino, si rattristò molto, temendo che fosse capitato per colpa sua, per non essere stata attenta alle sue raccomandazioni.
Biancabella -parte prima-
Tanto tempo fa regnava in Monferrato un marchese di nome Lamberico; era ricco e potente, però era senza figli. E per dispetto del destino, più egli desiderava averne, meno riusciva ad ottenerli. Avvenne però che un giorno la marchesa sua moglie uscì a svagarsi in giardino, e vinta dal sonno, s’addormentò ai piedi di un albero; e così, mentre dormiva beatamente, venne una piccola biscia, la quale le si avvicinò, le si infilò sotto le vesti, e senza che la donna s’accorgesse di nulla, le entrò nel ventre, dove si accomodò e vi prese dimora. Poco tempo dopo, con la gioia di tutti, la marchesa si scoprì incinta, e giunta al termine del parto, partorì una bimba con una biscia che s’avvinghiò al suo collo per tre volte. Vedendo questo, le comari che l’allevavano si paventarono molto.
I tre talismani -parte quarta-
Cassandrino lasciò sfollare i medici, i chirurghi, le sortiere, i negromanti, e si presentò dopo qualche giorno a palazzo reale. Fu ammesso nella stanza degli ammalati. “Promettete dunque di farci guarire?” “Lo prometto.” “E quando comincerete la cura?” “Anche subito, se volete.” Cassandrino fece denudare il Re fino alla cintola; poi trasse da una cesta un fascio d’ortiche e con le mani inguantate cominciò a flagellare le spalle reali. “Basta! Basta!” urlava il Re. “Non ancora, Maestà.” Poi passò alla Regina e ripeté sulle spalle di lei la stessa funzione. Quando i due Sovrani furono deposti sul letto, semivivi, Cassandrino porse loro i frutti delle isole lontane. Ed ecco i volti imbiancarsi a poco a poco, le squamme diradarsi, svanire del tutto. I Reali erano esultanti.
I tre talismani -parte terza-
La principessa – vedendosi in balia del suo nemico – finse di rassegnarsi all’esilio con lui, ma questo fece per scoprire il segreto della sua potenza; e tanto seppe ingannarlo che gli strappò la confidenza del mantello. Una notte che Cassandrino dormiva col panno prezioso ripiegato sotto la nuca, glielo sottrasse cautamente. “Per virtù di questo mantello voglio essere trasportata nel palazzo di mio padre il Re.” Cassandrino si svegliò mentre il mantello avvolgeva la principessa in una nube cupa e vertiginosa e la rapiva nell’azzurro verso il regno del padre. “Eccomi ancora derubato da quella perfida”. E si mise a singhiozzare disperato. Passò molti mesi nell’isola, mantenendosi di frutti.
Un giorno, vagando sulla riva del mare, scoperse un albero dai pomi enormi e vermigli.
I tre talismani -parte seconda-
Un giorno che il Re dava un pranzo di gala agli ambasciatori del Sultano, Cassandrino disse al capo dei cuochi: “Lasciate a me solo l’incarico di tutto: vi prometto un pranzo mai più visto.” Il capo sghignazzò, sprezzante: “Povero sguattero scimunito!” Ma Cassandrino insistette con tanta convinzione che il capo disse: “Rispondi di tutto sulla tua testa?” “Sulla mia testa.” I cuochi e il loro capo andarono a passeggio, e Cassandrino restò nelle cucine. Pochi minuti prima di mezzogiorno salì nella sala da pranzo e distese la tovaglia miracolosa in un angolo della tavola immensa. “Tovaglia! Tovaglia! Sia servito un banchetto di cinquecento coperti, tale da sbalordire il Re, la Corte, gli Ambasciatori, tale da confondere tutti i cuochi della terra!” Ed ecco biancheggiare le tovaglie finissime, scintillare i cristalli e le argenterie, e profondersi le pietanze più raffinate, i pasticci dall’architettura fantastica, le cacciagioni prelibate, i pesci rari, i frutti d’oltre mare, i vini delle isole del sole.
I tre talismani -parte prima-
Quando i polli ebbero i denti e la neve cadde nera, bimbi state bene attenti, c’era allora, c’era… c’era…… un vecchio contadino che aveva tre figliuoli. Quando sentì vicina l’ora della morte li chiamò attorno al letto per l’estremo saluto. “Figliuoli miei, io non son ricco, ma ho serbato per ciascuno di voi un talismano prezioso. A te, Cassandrino, che sei poeta e il più miserabile, lascio questa borsa logora: ogni volta che v’introdurrai la mano troverai cento scudi. A te, Sansonetto, che sei contadino e avrai da sfamare molti uomini, lascio questa tovaglia sgualcita: ti basterà distenderla in terra o sulla tavola, perché compaiano tante portate per quante persone tu voglia. A te, Oddo, che sei mercante e devi di continuo viaggiare, lascio questo mantello: ti basterà metterlo sulle spalle e reggerlo alle cocche delle estremità, con le braccia tese, per diventare invisibile e farti trasportare all’istante dove tu voglia.”
La danza degli gnomi -parte terza-
Si era intanto sparsa pel mondo la fama della bellezza sfolgorante e della bontà di Serena, e da tutte le parti giungevano richieste di principi e di baroni; ma la matrigna perversa si opponeva ad ogni partito. Il Re di Persegonia non si fidò degli ambasciatori, e volle recarsi in persona al castello della bellezza famosa. Fu così rapito dal fascino soave di Serena che fece all’istante richiesta della sua mano. La matrigna soffocava dalla bile; ma si mostrò ossequiosa al re e lieta di quella fortuna. E già macchinava in mente di sostituire a Serena la figlia Gordiana.
Furono fissate le nozze per la settimana seguente. Il giorno dopo il Re mandò alla fidanzata orecchini, smaniglie, monili di valore inestimabile. Giunse il corteo reale per prendere la fidanzata.
La danza degli gnomi -parte seconda-
Serena proseguì il cammino, giunse al villaggio e fece alzare il sacrestano perché la chiesa era chiusa. Ed ecco che ad ogni parola una perla le usciva dall’orecchio sinistro, le rimbalzava sulla spalla e cadeva per terra. Il sagrestano si mise a raccoglierle nella palma della mano. Serena ebbe il libro e ritornò al castello paterno. La matrigna la guardò stupita. Serena splendeva di una bellezza mai veduta: “Non t’è occorso nessun guaio, per via?” “Nessuno, mamma.” E raccontò esattamente ogni cosa. E ad ogni parola una perla le cadeva dall’orecchio sinistro. La matrigna si rodeva d’invidia. “E il mio libro di preghiere?” “Eccolo, mamma.” La logora rilegatura di cuoio e di rame s’era convertita in oro tempestato di brillanti. La matrigna trasecolava. Poi decise di tentare la stessa sorte per la figlia Gordiana.
La danza degli gnomi -parte prima-
Quando l’alba si levava, si levava in sulla sera, quando il passero parlava c’era, allora, c’era… c’era…una vedova maritata ad un vedovo. E il vedovo aveva una figlia della sua prima moglie e la vedova aveva una figlia del suo primo marito. La figlia del vedovo si chiamava Serena, la figlia della vedova si chiamava Gordiana. La matrigna odiava Serena ch’era bella e buona e concedeva ogni cosa a Gordiana, brutta e perversa. La famiglia abitava un castello principesco, a tre miglia dal villaggio, e la strada attraversava un crocevia, tra i faggi millenari di un bosco; nelle notti di plenilunio i piccoli gnomi vi danzavano in tondo e facevano beffe terribili ai viaggiatori notturni.
La matrigna che sapeva questo, una domenica sera, dopo cena, disse alla figlia: “Serena, ho dimenticato il mio libro di preghiere nella chiesa del villaggio: vammelo a cercare.”