Sorelle mai: il nuovo film di Bellocchio si infila tra i rapporti familiari

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Giorgio legge Čhecov, si rifugia dalle zie a Bobbio e si prende amorevolmente cura di sua nipote Elena. Sara recita Shakespeare, rifugge la provincia emiliana e lascia che siano le sue vecchie zie a crescere la sua bambina. Giorgio e Sara si rinfacciano i loro destini sfumati e lontani da Bobbio, ma è davanti al Trebbia che finiscono sempre per tornare, tuffarsi e volersi ancora bene, cavandosi a turno dagli impacci. Attrice senza successo lei, attore con un futuro incerto lui, Sara e Giorgio aspettano l’occasione della vita, eternamente attesi dalle zie e “amministrati” da Gianni Schicchi, doppio pucciniano e amico di famiglia che li ama e li consiglia. Sulle sponde del Trebbia scorre intanto la loro giovinezza e fiorisce quella di Elena, ormai adolescente e desiderosa di sperimentarsi.

SORELLE MAI
Ogni film di Marco Bellocchio è una tappa, qualcosa di nuovo rispetto a quello precedente. Così il suo film successivo non lo trovi mai dove te lo aspetteresti. Dopo la parabola di un regista che si interroga sull’identità di chi fa cinema e quella di una donna sacrificata dal potere che riflette sui “cattivi” padri della nazione, il regista piacentino torna a bagnarsi coi suoi protagonisti “familiari” nelle acque fresche del Trebbia. Sorelle mai è un “film per caso” composto da sei episodi girati in sei anni, compresi tra il 1999 e il 2008, e puntuale proseguimento di Sorelle, medio metraggio realizzato quattro anni prima in collaborazione con gli studenti del laboratorio “Fare Cinema”.

IL PERCORSO DI BELLOCCHIO
Interpolando le immagini digitali con la pellicola in bianco e nero del suo debutto, Bellocchio torna ad abitare la casa dei Pugni in tasca affollandola di parenti, amici, comparse e attori. Il “richiamo di questo paese è immutabile”, dichiara Piergiorgio Bellocchio nel film, confessando alla sorella della Finocchiaro l’impossibile “addio al passato” che ha contagiato le nuove generazioni, incapaci di chiudere con l’ossessione familistica, la provincia e la ribellione. Eppure questa volta Bellocchio lascia che sorelle, figli e nipoti, sue ideali proiezioni, trovino una riconciliazione con un ingombrante passato. Cercare di realizzare una forma di disubbidienza non implica più l’assassinio della madre.
Come già inteso e messo in scena nell’Ora di religione, al delitto si sostituisce la separazione, la fuga. Incessante come quella di Giorgio e Sara, sempre in arrivo, sempre in partenza contro la stanzialità confortante delle zie. Un’altra vacanza in Val Trebbia per i Bellocchio, un altro battesimo nelle sue acque gelide anche d’estate, da non intendere come sfogo narcisistico ma piuttosto diario intimo, che rivela un’idea di cinema con cui riprendere un contatto più intimo e profondo.

IL RACCONTO FAMILIARE
C’è il racconto familiare e c’è ancora e sempre il melodramma verdiano, che muove le deflagrazioni interiori dei personaggi, di cui Bellocchio rivela fin l’ultima piega emotiva. Ovunque, e soprattutto nel cuore, c’è Bobbio, la provincia da fuggire e insieme il luogo da abitare. Nell’epilogo, che si lascia trascinare in acqua dall’iperbole della fantasia, c’è Gianni Schicchi, complice affettuoso cucito nel frac di Modugno. Coi pugni in tasca e un cilindro per cappello interpreta l’ “addio al mondo e ai ricordi del passato”.

Recensione di MyMovies

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