Rapporto madri-figlie: quando le mamme non capiscono quando farsi da parte

di Redazione 2

Madri ossessive, possessive, invadenti, gelose… il rapporto madre-figlia è quanto di più complesso possa esistere e spesso influenza in modo pesantissimo lo sviluppo e la vita delle giovani. La dottoressa Mariacandida Mazzilli, psicologa e psicoterapeuta, parla di questo complesso argomento dalle pagine di Margherita.net, analizzando le domande più frequenti ricevute dalle lettrici del network al femminile. Eccone alcuni estratti che potranno essere utili a molte… mamme frustrate e figlie stressate.

L’ABUSO NARCISISTICO
Quando una madre interagisce con la figlia come se fosse veramente un prolungamento di se stessa, quando interviene in ogni sua scelta con la presunzione di sapere quello che è giusto o sbagliato, quando non riesce a lasciarle anche un minimo spazio di “libertà” per poter fare esperienza, quando è votata alla cura della figlia più di quanto sia interessata a se stessa, allora si sta parlando di una madre “più madre che donna”, per la quale il ruolo materno prende nettamente il sopravvento sull’essere donna. Le madri “più madri che donne” sono quelle che rinuncerebbero a qualsiasi cosa per il bene (o meglio, ciò che credono sia il bene) delle figlie.
Sono sempre presenti, instancabili e amorevoli tutrici, costantemente in contatto con il mondo della figlia, hanno spesso la tendenza a proiettarle addosso le proprie caratteristiche e qualità, creando confusione tra quello che è il vero modo di essere della ragazza e il proprio. Compiono ogni sforzo teso a valorizzare e sfruttare le doti della figlia, ma solo per una forma di gratificazione personale, dando vita così ad una particolare tipologia di dominio del genitore sul figlio, chiamata “abuso narcisistico“.

UNA CARENZA DI AMORE REALE
Questo tipo di investimento della madre è accompagnato da una carenza di amore reale, che per la figlia inevitabilmente tende a sfociare in una mancanza di autostima, in avide richieste di riconoscimento e frustrato bisogno di amore. Le peculiarità e le doti della figlia (ammesso che siano realmente corrispondenti all’identità della ragazza) sono dunque orientate a rispondere alle aspettative di una madre che abusa del suo ruolo; la figlia cercherà, in tutti i modi, di accrescere queste qualità per meritarsi un amore che purtroppo sarà destinato a rimanere insoddisfacente perché non rivolto alla sua persona per quello che è, ma all’immagine, idealizzata, creata dalla madre.
Il destino della bimba prima e dell’adolescente poi, nel caso in cui la madre, noncurante della propria identità di donna, le affidi l’incarico di realizzare al suo posto le sue aspirazioni, è quello di ricercare per tutta la vita, soddisfazioni narcisistiche, di desiderare di piacere ma di ritrovarsi generalmente poco amata e con il rischio di essere esposta a periodi di sovreccitazione o depressione. L’ “abuso narcisistico”, per una figlia è sempre un “abuso di identità” proprio perché la piccola non solo viene costretta in una posizione che non le appartiene, ma viene spogliata della sua specifica identità proprio da colei che dovrebbe aiutarla a costruirla.

UN SANO RAPPORTO MADRE-FIGLIA
I bambini vivono una condizione di assoluta, anche se transitoria, dipendenza dalla loro madre, devono fare affidamento sull’adulto per qualsiasi necessità. Il corpo materno si mette a disposizione del corpo del bambino sia durante la gravidanza sia dopo. Ma questo non vuol dire che la mamma sia in una condizione di “autonomia” rispetto al piccolo, né fisicamente né psicologicamente. Infatti per nutrirlo ha bisogno anche lei di essere “nutrita” dall’esterno, dal punto di vista fisico e psichico (anche attraverso uno scambio continuo con il partner).
Se all’inizio questa relazione simbiotica (tra madre e figlio) è indispensabile, in seguito potrebbe assumere delle sfumature negative o addirittura dannose se non contenuta e progressivamente allentata. Alcune donne, sin dalla gravidanza, hanno difficoltà ad immaginare all’interno della coppia madre-figlio il proprio partner: l’inclusione del terzo potrebbe essere vissuta, per queste donne, come un ostacolo. Dedicarsi totalmente al figlio o trasferire sul corpo del piccolo quelle pulsioni di tenerezza e fisicità comunemente riservate ad un partner può voler dire far diventare il figlio (o la figlia) l’unico destinatario di amore.
Quando la relazione si fa così “totalizzante” rischia di prendere il posto di altre relazioni amicali o amorose che sono indispensabili per il figlio adolescente nel momento di emancipazione, quando cioè la ricerca di altre fonti di gratificazione amorosa diventa una condizione naturale e fondamentale per la costruzione dell’identità.
Ma mentre per i maschietti la figura materna è “diversa” da loro, per le femminucce è “simile” e il tipo di dipendenza originaria assume una risonanza maggiore. La ragazza avrà bisogno di compiere il passaggio da figlia a donna (cioè essere sessuato) e recuperare uno spazio fisico e psichico proprio, libero dai condizionamenti materni. In questo momento delicato, molte mamme si sentono escluse dalla vita della figlia, mettono in atto meccanismi che possono ritardare o addirittura ostacolarne la crescita, intromettendosi nei suoi rapporti (considerati appunto disturbanti) e mantenendo così il controllo con la scusa di proteggere la figlia da pericoli e devianze.

IL RIFIUTO DELLA SEPARAZIONE
In questo caso, il dominio materno, si esprime nella sua caratteristica più prepotente: il rifiuto della separazione. Tutto ciò che può “minacciare” il rapporto madre-figlia viene sistematicamente attaccato, allontanato, con tutti i mezzi a disposizione tra cui il “senso di colpa”, che diviene l’arma principale del combattimento. Ogni volta che la figlia tenterà di ribellarsi, pagherà con una angoscia violenta che le costerà sofferenza e che non le darà tregua anche per gli anni a venire. Quante mamme rimangono sveglie fino a tardi ad aspettare che la figlia ritorni a casa dopo essere uscita con il proprio ragazzo, spesso sono colpite da continui malori, capogiri ogni volta che la figlia si allontana e sono solite rinfacciare tutto il “bene di mamma” che hanno donato ogni volta che la ragazza manifesta contentezza per una novità. E quante drammatizzano problematiche familiari proprio nel momento in cui la figlia decide di andare a lavorare fuori o di studiare in un’altra città.

Commenti (2)

  1. E’ incredibile tutto questo, ma perche’ una mamma non puo’ capire che un figlio e’ una persona con il suo diritto di vivere e basta?

  2. Ho una suocera così.
    Credo che abbia un disturbo di personalità narcisistica (in base ai parametri, ben 6 su 9, e ne bastano 4, citati nell penultima versione del DSM, quella in cui era ancora una patologia questo disturbo…). Ha cresciuto i tre figli esattamente come descritto dell’articolo qui presente. La primogenita é tuttora anoressica ed ha più di 50 anni (non ha mai concluso gli studi nè ha mai lavorato), la secondogenita si é sempre sentita troppo figlia per far un figlio (quindi si é separata e sta con chi non ne può avere), non é riuscita a dare l’esame di laurea finchè non si é laureato l’ultimogenito. L’ultimogenito non é riuscito a sposarsi se non dopo aver combinato innumerevoli casini e dopo 20 anni di fidanzamento e solo dopo che é “arrivato” un figlio.
    Nessuno dei figli ufficialmente ammette che la mamma é malata, ma anzi se la prendono con… la paziente designata, della quale, come da perfetto copione rigidamente rispettato, non si occupano, lasciandola letteralmente nelle mani di chi é stata fattore concausale molto importante.
    Perché l’ospedale in cui é stata ricoverata quando la pz designata è arrivata a pesare 28 chili (per 170 cm) non ha denunciato il fatto agli assistenti sociali? Come funziona questa società? È un famiglia che ha bisogno d’aiuto, ma che non chiede aiuto perché non sa di averne bisogno…io sono la reietta della famiglia ed ho difficilissimi rapporti come se io fosse l’amante di mio marito (indovinate chi é la moglie?!). Che posso fare? Rischio di chiudere con mio marito..

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