La leggenda di Knockfierna -parte terza-

 O’Daly si guardò intorno cercando il contadino, ma non riuscì a vederlo. Scoprì ben presto, vicino a dove si trovava il pony, una breccia nella montagna simile alla bocca di un pozzo, e si ricordò di aver sentito dire, quando era bambino, molte storie sul “Poul-duve” o Buco Nero di Knockfierna e che era l’entrata al castello delle fate che si trovava nella montagna. Le storie dicevano di come un uomo di nome Ahern, un ispettore delle terre di quella parte del paese, avesse una volta tentato di misurarne la profondità con un filo a piombo e che sia stato trascinato giù e nessuno ne aveva saputo più nulla. Aveva sentito molte altre storie di quel tipo.
“Ma,” pensò O’Daly, “queste sono storie da vecchie signore, e dal momento che sono arrivato fin qui, busserò alla porta del castello per vedere se le fate sono in casa.”

La leggenda di Knockfierna -parte seconda-

 “Quel tipo” pensò Carroll, “non è niente di buono in questa notte benedetta, e non avrei paura di giurare sulla Bibbia che c’è altro oltre alle fate, o al piccolo popolo, come li chiama lui, che lo porta su per la montagna a quest’ora. Le fate!” ripeteva, “è cosa da tipi come lui andare appresso a piccoli esseri come le fate! Certo, alcune persone dicono che esistono, ma molti di più sostengono di no; ma io so per certo che non avrei mai
paura nemmeno di una dozzina di loro e nemmeno di due dozzine, se non sono più grandi di quanto si dice.”
Mentre questi pensieri gli passavano per la testa, Carroll O’Daly teneva lo sguardo fisso sulla montagna, dietro la quale sorgeva maestosa la luna piena.

La leggenda di Knockfierna -parte prima-

 E’ una buona cosa non avere alcuna paura degli esseri fatati, perché senza dubbio in questo modo essi hanno meno potere. Ma trattarli con poco rispetto, o non crederci del tutto, è la cosa più pazza che un uomo, una donna o un bambino possano fare.
Si è giustamente detto che “le buone maniere non sono un peso” e che “la cortesia non costa nulla”. Ma ci sono dei tipi abbastanza sciocchi da trascurare di fare una cortesia, la quale, checché ne pensino, non può far danno né a loro, né a nessun altro; e che inoltre si lasciano andare ad abbandonar la retta via per compiere una cattiva azione che a loro non serve e non servirà mai. Ma presto o tardi dovranno ravvedersi, come sentirete nella storia di Carroll O’Daly, un robusto giovanotto di Connacht, che nel suo paese usavano chiamare “Daly il Diavolo”.

L’abete -parte sesta-

 «Adesso voglio vivere!» gridò lui pieno di gioia e allargò i rami, oh! erano tutti gialli e appassiti; e lui si trovava in un angolo tra ortiche e erbacce; ma la stella di carta dorata era ancora al suo posto e brillava al sole.
Nel cortile stavano giocando alcuni di quegli allegri bambini che a Natale avevano ballato intorno all’albero e ne erano stati tanto felici. Uno dei più piccoli corse a strappare la stella d’oro dall’albero.
«Guarda cosa c’è ancora su questo vecchio e brutto albero di Natale!» disse, e cominciò a pestare i rami che scricchiolarono sotto i suoi stivaletti.

L’abete -parte quinta-

 «Oh!» esclamarono i topolini «come sei stato felice, vecchio abete!»
«Non sono per niente vecchio!» rispose l’albero. «Sono venuto via dal bosco quest’inverno! Sono nell’età migliore, ho solo terminato la crescita!»
«Come racconti bene!» gli dissero i topolini, e la notte dopo ritornarono con altri quattro topolini che volevano sentire il racconto dell’albero; e quanto più raccontava, tanto più chiaramente si ricordava tutto e pensava: “Erano proprio bei tempi! Ma ritorneranno, ritorneranno! Klumpe-Dumpe cadde dalle scale e ebbe la principessa; forse anch’io ne sposerò una” e intanto pensava ad una piccola e graziosa betulla che cresceva nel bosco e che per l’abete era come una bella principessa.

L’abete -parte quarta-

 Klumpe-Dumpe che cade dalle scale e sposa la principessa! Certo: è così che va il mondo! concluse l’albero, credendo che tutto fosse vero, dato che era stato raccontato da un uomo così per bene. “Certo! Chi può mai saperlo? Forse cadrò anch’io dalle scale e sposerò una principessa!”. E si rallegrò al pensiero che il giorno dopo sarebbe stato decorato di nuovo con candele, giocattoli, e frutta dorata.
“Domani non tremerò!” pensò. “Voglio proprio godermi tutto quello splendore. Domani sentirò ancora la storia di Klumpe-Dumpe e forse anche quella di Ivede-Avede.”
L’albero restò fermo a pensare per tutta la notte.
Il mattino dopo entrarono il cameriere e la domestica.

L’abete -parte terza-

 Pendevano anche mele e noci dorate, che sembravano quasi cresciute dai rami. Poi vennero fissate ai rami più di cento candeline bianche rosse e blu. Bambole che sembravano vere, e che l’abete non aveva mai visto prima d’allora, dondolavano tra il verde. In cima venne posta una grande stella fatta con la stagnola dorata; era proprio meravigliosa.
«Questa sera!» esclamarono tutti «questa sera deve splendere!»
“Fosse già sera!” pensò l’albero “se almeno le candele fossero accese presto! Che cosa accadrà? Chissà se verranno gli alberi del bosco a vedermi? E chissà se i passerotti voleranno fino alla finestra? Forse metterò radici qui e resterò decorato estate e inverno!”
Sì! ne sapeva davvero poco! ma gli era venuto mal di corteccia per la nostalgia, e il mal di corteccia è fastidioso per un albero come lo è il mal testa per noi.

L’abete -parte seconda-

 Il vento baciò l’albero e la rugiada riversò su di lui le sue lacrime, ma l’albero non riuscì a capire.
Quando si avvicinarono le feste natalizie, vennero abbattuti giovani alberelli, che non erano ancora grandi e vecchi come quell’abete, che non riusciva a avere pace e voleva sempre partire. Questi alberelli, che erano stati scelti tra i più belli, conservarono i loro rami e vennero messi sui carri che i cavalli trascinarono fuori dal bosco.
«Dove vanno?» chiese l’abete «non sono più grandi di me, anzi ce n’era uno che era molto più piccolo. Perché conservano i rami? Dove sono diretti?»

L’abete -parte prima-

 In mezzo al bosco si trovava un grazioso alberello di abete aveva per sé parecchio spazio, prendeva il sole, aveva aria a sufficienza, e tutt’intorno crescevano molti suoi compagni più grandi, sia abeti che pini, ma quel piccolo abete aveva una gran fretta di crescere. Non pensava affatto al caldo sole né all’aria fresca, né si preoccupava dei figli dei contadini che passavano di lì chiacchierando quando andavano a raccogliere fragole o lamponi. Spesso arrivavano con il cestino pieno zeppo di fragole oppure le tenevano intrecciate con fili di paglia, si sedevano vicino all’alberello e esclamavano: «Oh, com’è carino così piccolo!» ma all’albero dispiaceva molto sentirlo.
L’anno dopo il tronco gli si era allungato, e l’anno successivo era diventato ancora più lungo; guardandone la costituzione si può sempre capire quanti anni ha un abete.

Il baule volante -parte quarta-

 “Che bella storia” esclamò la regina “mi sono proprio sentita in cucina con i fiammiferi. Sì, tu avrai nostra figlia.”
“Certo!” aggiunse il re. “Sposerai nostra figlia lunedì.” Ormai gli dava del tu, dato che doveva far parte della famiglia.
Il matrimonio era stato fissato e la sera prima la città venne tutta illuminata: volavano in aria ciambelline e maritozzi; i monelli di strada si alzavano in punta di piedi per prenderle e urlavano Urrà! e fischiavano con le dita; era semplicemente meraviglioso!
“Anch’io devo fare qualcosa!” pensò il figlio del commerciante, e comprò dei razzi illuminanti, dei petardi e tutti i fuochi artificiali che si potessero immaginare, li mise nel baule e volò in alto.
Rutsch! come funzionavano bene! e che scoppi!