L’usignolo -parte quinta-

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Un giorno arrivò un grande pacco per l’imperatore, con scritto sopra: “Usignolo“. «È sicuramente un nuovo libro sul famoso uccello!» esclamò l’imperatore; ma non era un libro, era invece un piccolo oggetto chiuso in una scatola: un usignolo meccanico, che doveva somigliare a quello vivo ma era ricoperto completamente di diamanti, rubini e zaffiri. Non appena lo si caricava, cominciava a cantare uno dei brani che anche quello vero cantava, e intanto muoveva la coda e brillava d’oro e d’argento. Intorno al collo aveva un piccolo nastro su cui era scritto: “L’usignolo dell’imperatore del Giappone è misero in confronto a quello dell’imperatore della Cina”.
«Che bello!» dissero tutti, e colui che aveva portato quell’usignolo meccanico ebbe il titolo di Portatore imperiale di usignoli.
«Ora devono cantare insieme! Chissà che duetto!»
Cantarono insieme, ma non andò molto bene, perché il vero usignolo cantava a modo suo, quello meccanico invece funzionava per mezzo di cilindri. «Non è colpa sua!» spiegò il maestro di musica «tiene bene il tempo e segue in tutto la mia scuola!» Così l’usignolo meccanico dovette cantare da solo. Ebbe lo stesso successo di quello vero, ma era molto più bello da guardare: brillava come i braccialetti e le spille.

Ma dov’era finito?
Cantò per trentatré volte sempre lo stesso pezzo e non era affatto stanco; la gente lo avrebbe ascoltato volentieri di nuovo, ma l’imperatore pensò che ora avrebbe dovuto cantare un po’ l’usignolo vero… ma dov’era finito? Nessuno aveva notato che era volato dalla finestra aperta, verso il suo verde bosco.
«Guarda un po’!» esclamò l’imperatore; e tutta la corte si lamentò e dichiarò che l’usignolo era un animale molto ingrato. «Ma abbiamo l’uccello migliore!» dissero, e così l’uccello meccanico dovette cantare ancora e per la trentaquattresima volta sentirono la stessa melodia, ma non la conoscevano ancora completamente, perché era molto difficile, il maestro di musica lodò immensamente l’uccello e assicurò che era migliore di quello vero, non solo per il suo abbigliamento e i bellissimi diamanti, ma anche internamente.

In questo uccello meccanico
«Perché, vedete, Signore e Signori, e prima di tutti Vostra Maestà Imperiale, con l’usignolo vero non si può mai prevedere quale sarà il suo canto; in questo uccello meccanico invece tutto è stabilito. Così è e non cambia! Ci si può rendere conto di come è fatto, lo si può aprire e si può capire come sono collocati i cilindri, come funzionano e come si muovono, uno dopo l’altro.»
«È proprio quello che penso anch’io!» esclamarono tutti, e il maestro di musica ottenne il permesso, la domenica successiva, di mostrare l’uccello al popolo. «Anche loro devono sentirlo cantare» disse l’imperatore, e così lo sentirono e si divertirono tantissimo, come si fossero ubriacati di tè, il che è una cosa prettamente cinese. Tutti esclamarono: “Oh!” e alzarono in aria il dito indice, che chiamano “leccapentole”, e assentirono col capo. Ma i poveri pescatori che avevano sentito l’usignolo vero, dissero: «Canta bene, e assomiglia all’altro, ma manca qualcosa, anche se non so che cosa!».

Fiaba di Hans Christian Andersen

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