L’usignolo -parte quarta-

di Redazione Commenta

Al castello avevano fatto grandi preparativi. Le pareti e i pavimenti, che erano di porcellana, brillavano, illuminati da migliaia di lampade d’oro; i fiori più belli, quelli che tintinnavano, erano stati messi lungo i corridoi; c’era un correre continuo e una forte corrente d’aria, e così tutte le campanelline si misero a suonare e non fu più possibile capire niente.
In mezzo al grande salone dove stava l’imperatore era stato collocato un trespolo d’oro, su cui l’usignolo doveva posarsi c’era tutta la corte, e la piccola sguattera aveva avuto il permesso di stare dietro alla porta, dato che era stata insignita del titolo di “sguattera imperiale”.
Tutti indossavano i loro abiti migliori e tutti guardarono quel piccolo uccello grigio che l’imperatore salutò con un cenno.
L’usignolo cantò così deliziosamente che l’imperatore si commosse, le lacrime gli corsero lungo le guance, allora l’usignolo cantò ancora meglio e gli andò dritto al cuore. L’imperatore era così soddisfatto che diede ordine che l’usignolo portasse intorno al collo la sua pantofola d’oro. L’usignolo ringraziò ma disse che aveva già avuto la sua ricompensa.
«Ho visto le lacrime negli occhi dell’imperatore, questo è il tesoro più prezioso per me. Le lacrime di un imperatore hanno una potenza straordinaria. Dio sa che sono già stato ricompensato!» E cantò di nuovo con la sua dolcissima voce.

L’usignolo portò davvero gioia
«È la più amabile civetteria che io conosca!» dissero le dame di corte e si misero dell’acqua in bocca per fare glug, quando qualcuno avesse rivolto loro la parola, così credevano di essere anche loro degli usignoli. Anche i lacchè e le cameriere cominciarono a essere soddisfatti, e questa non è cosa da poco perché sono le persone più diffìcili da soddisfare. Sì, l’usignolo portò davvero la gioia!
Ora sarebbe rimasto a corte, in una gabbia tutta d’oro e con la possibilità di passeggiare due volte di giorno e una volta di notte. Ebbe a disposizione dodici servitori e tutti avevano un nastro di seta con cui lo tenevano stretto, dato che i nastri erano legati alla sua zampina. Non era certo un divertimento fare quelle passeggiate!

Quel meraviglioso uccello
Tutta la città parlava di quel meraviglioso uccello, e quando due persone si incontravano uno non diceva altro che: «Usi» e l’altro rispondeva: «Gnolo!» e poi sospiravano comprendendosi reciprocamente; undici figli di droghieri ricevettero il nome di quell’uccello, ma non uno di essi ebbe il dono di cantare bene.

Fiaba di Hans Christian Andersen

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