La regina della neve -parte ventitré-

di Redazione Commenta

Settima storia. Che cosa era successo nel castello della regina della neve e che cosa accadde in seguito
Le pareti del castello erano formate dalla neve che cadeva, le finestre e le porte dai venti che soffiavano; c’erano più di cento saloni, secondo la forma che prendeva la neve caduta; il più grande si allungava per molte miglia, tutti erano illuminati dall’aurora boreale e erano grandi, vuoti, gelati, luminosi. L’allegria non arrivava mai, mai c’era stato un ballo di orsacchiotti dove la tempesta potesse intonare la musica, e gli orsi camminare sulle zampe posteriori e comportarsi in modo distinto, mai c’erano stati giullari che facessero ballare gli orsi polari; mai una riunione per bere il caffè con le bianche signore volpi, tutto era vuoto, enorme e gelato nelle sale della regina della neve. Le aurore boreali brillavano con tanta regolarità che si poteva addirittura calcolare quando brillavano della luce più potente e quando della luce più debole. Proprio in mezzo a una sala di neve vuota e enorme si trovava un lago ghiacciato; era infranto in mille pezzi, ma ogni pezzo era identico all’altro, e era una vera opera d’arte. Proprio lì sopra stava seduta la regina della neve quando era a casa, così diceva che sedeva sullo specchio dell’intelligenza, e che quello era l’unico e il miglior posto del mondo.

Era viola per il freddo
Il piccolo Kay era viola per il freddo, anzi quasi nero, ma non se ne accorgeva, perché lei con un bacio gli aveva tolto il brivido del freddo, e il suo cuore era come un grumo di ghiaccio. Stava trafficando intorno a alcuni pezzi di ghiaccio lisci e appuntiti, che deponeva in tutti i modi possibili, perché ne voleva ricavare qualcosa, un po’ come quando noi abbiamo dei pezzettini di legno e li mettiamo insieme per formare delle figure: quello che si chiama il gioco cinese. Anche Kay faceva varie figure, le più perfette, era il gioco di ghiaccio dell’intelligenza; ai suoi occhi le figure erano meravigliose e molto importanti, e questo per merito del granellino di vetro che aveva nell’occhio! Poi realizzava delle figure che erano delle parole scritte, ma non riusciva mai a comporre la parola che lui voleva, “eternità”, e la regina della neve gli aveva detto: «Se riuscirai a comporre quella parola, diventerai signore di te stesso, e io ti regalerò il mondo intero e un paio di pattini nuovi». Ma lui non riusciva.

Devo andare nei paesi caldi
«Ora devo andare nei paesi caldi» disse la regina della neve «devo andare a guardare nelle mie pentole nere.» Erano le montagne che gettano il fuoco, l’Etna e il Vesuvio, come si chiamano. «Devo imbiancarle un po’! È ora ormai. E la neve sta molto bene sui limoni e sulle viti!» Così la regina della neve volò via.
Kay rimase tutto solo in quelle grandissime e gelide sale vuote a guardare i suoi pezzi di ghiaccio continuando a pensare finché la testa quasi non gli scoppiava; restava rigido e immobile, tanto da sembrare morto assiderato.

Fiaba di Hans Christian Andersen

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