Cancro al seno in gravidanza: una donna su tremila viene colpita

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Cancro al seno col pancione: un dramma nel dramma che colpisce in Italia una donna in dolce attesa su 3 mila. Con numeri in crescita, avvertono gli esperti, complici la possibilità di diagnosi sempre più precoci e l’aumento dell’età media alla prima gravidanza (sopra i 30 anni, in molti casi intorno ai 35). Risultato: oggi il 15% dei tumori al seno scoperti nelle under 35 riguarda una donna incinta. Del big killer ‘in rosa’ durante la gravidanza, e delle nuove terapie personalizzate che aiutano a salvaguardare il benessere del nascituro, si parlerà alla Insubria International Summer School, organizzata il 10 e l’11 giugno dall’università dell’Insubria a Induno Olona (Varese), in collaborazione con il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York.

IL TUMORE AL SENO IN GRAVIDANZA
Quello del tumore al seno durante la gravidanza è uno dei temi più scottanti e d’attualità in senologia“, spiega Francesca Rovera, direttore del Centro di ricerche in senologia dell’università dell’Insubria. Sull’argomento si confronteranno a Varese “centinaia di senologi da tutto il mondo“, con “l‘intervento di ben 7 relatori dal Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York“. Fra gli interventi anche quello di Umberto Veronesi.
Una diagnosi di tumore al seno in una donna in stato di gravidanza – sottolinea Rovera – pone problemi specifici che richiedono una particolare sensibilità e professionalità da parte del medico. E’ noto che le neoplasie che colpiscono pazienti in giovane età hanno una prognosi generalmente più severa“. E “se a questo si associa lo stato di gravidanza, si comprende l’essenzialità di un approccio multidisciplinare che coinvolga senologo e oncologo, ma anche ginecologo, neonatologo e psicologo“.

L’IMPORTANZA DELLA DIAGNOSI
Quando il cancro al seno attacca una donna in gravidanza, il primo problema è la diagnosi. Nella maggior parte dei casi, sottolineano infatti gli esperti, le gestanti si accorgono in ritardo di avere un tumore. Nonostante i continui controlli per la gravidanza, nel 90% dei casi sono le stesse pazienti a rilevare i sintomi della malattia. In generale, il ritardo diagnostico è compreso tra un mese e mezzo e 6 mesi. Da un lato perché il naturale ingrossamento del seno in gravidanza complica l’esame obiettivo della parte; dall’altro perché la gestante esita a sottoporsi ad accertamenti diagnostici, per paura di causare danni al nascituro.
La diagnosi corretta prevede anche in questi casi che, di fronte a un nodulo sospetto, si proceda a un’ecografia mammaria e a un esame cito-istologico. Solo in caso di conferma si passa alla mammografia, da eseguire schermando il pancione.

COSA FARE IN CASO DI CANCRO
In caso di cancro “non esiste alcuna necessità di interrompere la gravidanza come atto terapeutico – precisa Rovera – ma è chiaro che la gravidanza delle pazienti affette da tumore al seno va seguita con uno stretto monitoraggio della salute biofisica fetale“. La buona notizia è che oggi “esistono terapie conservative sempre più personalizzate, che permettono buoni risultati oncologici salvaguardando la salute” del futuro bebè.
A diagnosi avvenuta, le terapie cambiano in base al periodo gestazionale. Il trattamento chirurgico non presenta controindicazioni per tutta la durata della gravidanza ed è uguale a quello indicato nelle donne non incinte.

LA CHEMIO?
Quanto alla chemioterapia, nei primi tre mesi di gravidanza è da evitare perché l’embrione corre un rischio maggiore di subire gli effetti tossici dei farmaci. I pericoli di danni da chemio diminuiscono invece nel semestre successivo. No alla radioterapia, per i possibili effetti negativi sul feto, mentre la terapia ormonale va rimandata al termine della gravidanza. Infine, dopo 30-32 settimane di gestazione è opportuno indurre il parto.

PER CHI HA GIA’ AVUTO IL CANCRO
E per le donne che il cancro al seno l’hanno già vinto? Per chi ha subito un trattamento specifico contro il tumore della mammella “non esistono controindicazioni assolute alla gravidanza – chiarisce Rovera in una nota – L’unico accorgimento è quello di chiedere alla paziente di attendere un paio di anni dalla fine del trattamento prima di programmare una maternità, essendo questo il periodo più a rischio per eventuali recidive tumorali“.

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